IL ROMANZO DELLA VITA PASSATA

IL ROMANZO DELLA VITA PASSATA

VINCENZO RABITO IL ROMANZO DELLA VITA PASSATA TESTO RIVISTO E ADATTATO DA GIOVANNI RABITO

Vincenzo Rabito

Il romanzo della vita passata

Testo rivisto e adattato da Giovanni Rabito

«Di mio padre e della sua infinita scrittura sapevo già tanto da Terra matta. Ma dopo aver lavorato sul secondo memoriale, ho scoperto anche un grande osservatore della società siciliana e di quella italiana… E infine un narratore mica male, direi quasi geniale».
Giovanni Rabito

Vincenzo Rabito racconta la sua vita di nuovo, fino all’ultimo giorno, come quell’immenso cantastorie che era: tornando sugli episodi, cucendo, indugiando, ormai ben più consapevole dei propri mezzi. E a raccogliere e selezionare le sue pagine ora è il figlio Giovanni, in un adattamento libero e personale, una versione più familiare di questa grande storia virtualmente quasi infinita.

«E questo figlio Ciovanne mi a’ detto che questa vita che aveva passata io era una vita storeca, che questa mia passata vita di 60 anne fa era una vita preziosa, che la casa edetrice di Turino questo libiro che aveva scritto io lo dovevino poblicare…»

Se c’è una storia editoriale che vale la pena ricordare, è quella di Terramatta. «Il capolavoro che non leggerete», così fu definito dalla giuria dell’Archivio di Pieve Santo Stefano: 1027 pagine fitte fitte di una lingua impossibile trasformate miracolosamente in un Supercorallo, lanciando il cuore oltre l’ostacolo come si può fare soltanto quando si ha la certezza di avere tra le mani una cosa irripetibile. Nessuno avrebbe potuto immaginare le 40.000 copie vendute, il successo dell’edizione tascabile, i diritti ceduti al cinema, la persistenza nel catalogo, il passaparola. Era un capolavoro, l’hanno letto in tanti. E lo ricordano tutti. Ma nessuno poteva immaginare, ancora, che quel libro non fosse irripetibile. Perché la storia non è finita qui.
A spiegarcelo è Giovanni Rabito, il figlio di Vincenzo: «Fu a seguito, e per causa forse, del successo di Terramatta che io venni a conoscenza di un secondo quantitativo di dattiloscritti nella casa di mio fratello Turi, a Ragusa. Me l’ero completamente dimenticato, ma dopo la morte di mio padre, ero stato proprio io a consegnare questo malloppo a mia cognata, per preservarlo dalla distruzione. Mia madre temevo avesse intenzione di buttarlo via, come fece con tutto il contenuto della stanzetta dove mio padre, quasi in segreto, aveva lavorato per tanti anni alla sua attività di scrittore “inafabeto”. Finirono così nell’immondezzaio scrivania, sedie, la Olivetti 22 e una quantità di diari scritti a penna, documenti e oggetti, i memorabilia di tutta una vita».
Il malloppo sopravvissuto alla catastrofe, quindici quadernoni per un totale di 1486 pagine, rappresenta il secondo memoriale: che in questa versione, ridotta e adatta da quel figlio Giovanni che era il suo interlocutore d’eccezione, porta nel titolo (dall’incipit) la parola «romanzo», perché Vincenzo Rabito ora sapeva bene quello che stava costruendo.